Nell’affrontare lo spinoso problema della coscienza storica e della costruzione della storicità africana, Cheikh Anta Diop lascia intendere che lo studio sistematico delle problematiche africane è di capitale importanza se si vuole dominare “una situazione che esige tante energie umane, tanta lucidità intellettuale, tanto pensiero creativo. (…) La nostra generazione non ha chances, se così possiamo dire, nel senso che essa non potrà evitare la tempesta intellettuale; che essa voglia o no, essa sarà costretta (…) a sbarazzarsi del suo spirito di ricette intellettuali e di briciole di pensiero, per impegnarsi risolutamente nell’unica via veramente dialettica della soluzione dei problemi che la storia gli impone. Questo suppone un’attività di ricerca, nel senso più autentico, degli spiriti lucidi e fecondi, capaci di attingere alle soluzioni efficaci (…). E’ la congiuntura storica che obbliga la nostra generazione a risolvere in una prospettiva positiva l’insieme dei problemi che si pongono all’Africa. (…) Se essa non ci riuscirà, apparirà nella storia dell’evoluzione dei nostri popoli come la generazione di demarcazione che non è stata capace di assicurare la sopravvivenza culturale, nazionale del continente africano: quella che per cecità politica ed intellettuale avrà commesso un errore fatale contro il nostro avvenire nazionale, essa sarà la generazione indegna per eccellenza, quella che non sarà all’altezza delle circostanze. In effetti, come ha rilevato Fabien Eboussi Boulaga, la crocifissione attuale dell’Africa e degli africani è essenzialmente legata alla crisi di pensiero del Muntu odierno. Il Muntu infatti, dice Jean-Marc Ela, ha spedito il suo pensiero in vacanza, proprio in un momento drastico della sua storia nella congiuntura politica e geopolitica mondiale sempre più ostile all’Africa e agli africani.
L’uscita da questa crisi in una simile congiuntura politica e geopolitica mondiale implica quindi il coraggio di inventarsi il proprio avvenire o la morte, attraverso la ripresa cosciente e responsabile dello stradario del metodo scientifico. Così come a suo tempo aveva avvertito Cheikh Anta Diop, noi non abbiamo altra scelta se non quella di “armarsi fino ai denti della scienza” se vogliamo trovare risposte pertinenti ai problemi che affliggono l’Africa e il resto del mondo. Non esiste pertanto futuro per l’Africa senza un investimento massiccio nella ricerca scientifica come in effetti hanno dimostrato sia Jean-Marc Ela sia Paulin Hountondji sia Théophile Obenga, per citare solo alcuni. La conquista più significativa dell’umanità odierna è precisamente il metodo scientifico. Ciò che l’Egitto Faraonico ha chiamato tep-heseb, vale a dire <
Questo site costituisce pertanto uno spazio di divulgazione, di sensibilizzazione e di confronto di idee su ciò che scrivono e dicono singoli autori africani su loro stessi, sulle sfide del continente africano, sulle speranze dell’Africa e degli africani in generale e sulle sfide del mondo odierno in generale. Insomma, alla faccia di Pier Ferdinando Casini, anche i Baluba pensano, non solo come comunità storica ma anche e soprattutto individualmente e l’hanno sempre fatto lungo l’arco della storia prima ancora della stessa civiltà greco-romana cui appartiene Pier Ferdinando Casini. Ora, al di là di Casini - che per noi rappresenta solamente la massima espressione di un infondato luogo comune sull’Africa e sui neri africani in generale - esiste in Italia, soprattutto negli ambienti accademici, una cultura molto radicata di <
Ecco, sono anni che cerco di capire questo fenomeno, ma non riesco. Perciò conto sulla sua collaborazione…Fifito.