mercoledì 8 agosto 2007

Primo messaggio del blog ... Come la penso

“Non si nasce mai già tutto fatto” recita un proverbio africano. Infatti, secondo un detto del popolo bambara del Mali, “Mamma ha partorito non significa che Mamma ha finito”. Dopo aver messo al mondo il figlio, comincia il duro compito dell’educazione. Educare o perire, dice Joseph Ki-Zerbo. E’ in questo termini che si pone l’interrogativo sul futuro della pace nel mondo. Da questo punto di vista, l’educazione per la costruzione di un mondo all’insegna della pace, riconciliazione storica, verità, giustizia, sicurezza e solidarietà deve costituire il problema prioritario di tutti gli uomini e le donne di buona volontà ma soprattutto di tutti coloro che si interessano alle idee che gli esseri umani elaborano in diversi angoli del pianeta Terra, come risposta alla sfida del trionfo della vita sulla morte.
Nell’affrontare lo spinoso problema della coscienza storica e della costruzione della storicità africana, Cheikh Anta Diop lascia intendere che lo studio sistematico delle problematiche africane è di capitale importanza se si vuole dominare “una situazione che esige tante energie umane, tanta lucidità intellettuale, tanto pensiero creativo. (…) La nostra generazione non ha chances, se così possiamo dire, nel senso che essa non potrà evitare la tempesta intellettuale; che essa voglia o no, essa sarà costretta (…) a sbarazzarsi del suo spirito di ricette intellettuali e di briciole di pensiero, per impegnarsi risolutamente nell’unica via veramente dialettica della soluzione dei problemi che la storia gli impone. Questo suppone un’attività di ricerca, nel senso più autentico, degli spiriti lucidi e fecondi, capaci di attingere alle soluzioni efficaci (…). E’ la congiuntura storica che obbliga la nostra generazione a risolvere in una prospettiva positiva l’insieme dei problemi che si pongono all’Africa. (…) Se essa non ci riuscirà, apparirà nella storia dell’evoluzione dei nostri popoli come la generazione di demarcazione che non è stata capace di assicurare la sopravvivenza culturale, nazionale del continente africano: quella che per cecità politica ed intellettuale avrà commesso un errore fatale contro il nostro avvenire nazionale, essa sarà la generazione indegna per eccellenza, quella che non sarà all’altezza delle circostanze. In effetti, come ha rilevato Fabien Eboussi Boulaga, la crocifissione attuale dell’Africa e degli africani è essenzialmente legata alla crisi di pensiero del Muntu odierno. Il Muntu infatti, dice Jean-Marc Ela, ha spedito il suo pensiero in vacanza, proprio in un momento drastico della sua storia nella congiuntura politica e geopolitica mondiale sempre più ostile all’Africa e agli africani.
L’uscita da questa crisi in una simile congiuntura politica e geopolitica mondiale implica quindi il coraggio di inventarsi il proprio avvenire o la morte, attraverso la ripresa cosciente e responsabile dello stradario del metodo scientifico. Così come a suo tempo aveva avvertito Cheikh Anta Diop, noi non abbiamo altra scelta se non quella di “armarsi fino ai denti della scienza” se vogliamo trovare risposte pertinenti ai problemi che affliggono l’Africa e il resto del mondo. Non esiste pertanto futuro per l’Africa senza un investimento massiccio nella ricerca scientifica come in effetti hanno dimostrato sia Jean-Marc Ela sia Paulin Hountondji sia Théophile Obenga, per citare solo alcuni. La conquista più significativa dell’umanità odierna è precisamente il metodo scientifico. Ciò che l’Egitto Faraonico ha chiamato tep-heseb, vale a dire <> per studiare la natura, fare delle investigazioni rigorose e appropriate nella natura. Insomma, l’Egitto Faraonico è il risultato di un metodo scientifico applicato sistematicamente ed in modo cosciente nella vita concreta di tutti i giorni. Tep-heseb nell’Egitto Faraonico, è diventato logos nell’antica Grecia e Ragione teorica, discorsiva e sperimentale in Europa da dopo Galileo Galilei; diventa con Cartesio la logica delle idee chiare e distinte fondate sulla deduzione, partendo dal più semplice al più complesso. Ai nostri giorni, il metodo scientifico ha aperto allo spirito umano immensi orizzonti, sia a livello delle conoscenze teoriche che sul piano delle applicazioni concrete di certi acquisti teorici per migliorare l’esistenza umana e facilitare così il trionfo della vita sulla morte. L’applicazione quindi del metodo scientifico è il mezzo più sicuro ed idoneo per radicare le scienze e le tecniche in Africa. Ciò è infinitamente più apportatore di avvenire piuttosto che il discorso “demodeé” sul trasferimento delle tecnologie oppure nella ricerca di vivere scegliendo ogni volta qual è il migliore Padrone e Santo Protettore a cui affidare la propria vita, il proprio destino storico, rinunciando e delegando in questo modo il proprio futuro alla “politica dei container” a sua volta produttrice della “politica dei vigili da fuoco”. Concetti, metodi scientifici, immaginazione creatrice, invenzione del presente e del futuro, cooperazione internazionale sui grandi problemi del tempo che viviamo nella consapevolezza che non esiste il mondo senza l’Africa e viceversa non esiste l’Africa senza il resto del mondo ecc.: ecco ciò che come in passato anche oggi continua a costituire l’oggetto di dibattito nell’ambito della classe intellettuale africana e in modo particolare tra i filosofi africani. Esiste una ricca produzione filosofica e scientifica, un intenso dibattito filosofico e scientifico attorno alle grandi sfide odierne dell’Africa e dell’intera umanità, all’interno del continente africano che ha come principali protagonisti gli stessi africani e che noi vogliamo, in questo sito, far conoscere e condividere con tutti coloro che si interessano della sorte dell’Africa, degli africani, dell’umanità in generale.
Questo site costituisce pertanto uno spazio di divulgazione, di sensibilizzazione e di confronto di idee su ciò che scrivono e dicono singoli autori africani su loro stessi, sulle sfide del continente africano, sulle speranze dell’Africa e degli africani in generale e sulle sfide del mondo odierno in generale. Insomma, alla faccia di Pier Ferdinando Casini, anche i Baluba pensano, non solo come comunità storica ma anche e soprattutto individualmente e l’hanno sempre fatto lungo l’arco della storia prima ancora della stessa civiltà greco-romana cui appartiene Pier Ferdinando Casini. Ora, al di là di Casini - che per noi rappresenta solamente la massima espressione di un infondato luogo comune sull’Africa e sui neri africani in generale - esiste in Italia, soprattutto negli ambienti accademici, una cultura molto radicata di <> attorno a ciò che scrivono gli autori africani su se stessi e sulle sfide con cui l’Africa e il mondo si confrontano oggi. In questo modo si è sempre data e si continua a dare agli studenti e al pubblico italiano in generale, l’impressione che in materia scientifica gli africani non hanno mai pensato, al di là della poesia, dell’arte e della letteratura. Ora, perché questo atteggiamento di chiusura nei confronti della produzione scientifica e intellettuale africana in Italia?
Ecco, sono anni che cerco di capire questo fenomeno, ma non riesco. Perciò conto sulla sua collaborazione…Fifito.